Il campo geomagnetico e l’indice G

Oltre a pubblicare i dati di numerosi strumenti e a redigere report e previsioni per lo space weather, NOAA ha creato anche tre indici di rapida comprensione collegati ai fenomeni dello space weather. Uno di questi indici è G (Geomagnetic Storm Impact) ovvero l’effetto di una tempesta geomagnetica sulla terra e sulle attività umane. In questo articolo vedremo la cause di queste tempeste, gli effetti che possono causare e come leggere i dati provenienti dagli strumenti scientifici pubblicati online.

L’origine delle tempeste geomagnetiche

La terra ha un proprio campo magnetico generato dal movimento rotatorio e convettivo di un fluido conduttore al suo interno. Anche il sole ha un suo campo magnetico che, grazie alla sua grande estensione, arriva ad interagire con quello terreste. A differenza del campo terrestre, quello solare non solo è piuttosto variabile, ma può essere localmente influenzato da una serie di fenomeni. Della sua variabilità ne risentirà il campo magnetico terrestre, normalmente molto stabile, dando luogo alle tempeste geomagnetiche. Queste si manifestano come variazioni di intensità e orientamento delle linee stesse del campo sulla superficie del nostro pianeta.

Le tempeste geomagnetiche più grandi sono associate alle CME (Coronal Mass Ejections). Le CME sono espulsioni massive (miliardi di tonnellate) di plasma che portano con se un proprio campo magnetico. Dal verificarsi della CME alla tempesta geomagnetica può passare da meno di un gorno ad alcuni giorni a seconda della velocità impressa al plasma. Una volta che questa massa espulsa raggiunge la terra, il normale flusso di vento solare proveniente dal sole risulterà più intenso e i campi magnetici intrappolati al suo interno disturberanno il campo magnetico terrestre.

Le tempeste geomagnetiche minori possono essere generate anche dagli HSS (High Speed Solar Wind Stream). Anche in questo caso abbiamo un variazione nel vento solare generata dalla combinazione del normale flusso con un aggiuntivo ad alta velocità. In questo caso si formano delle regioni dove il plasma è compresso e quindi più denso. Sono le CIR (Corotating interaction regions). Queste regioni ruotano insieme al campo magnetico solare (corotating) e individuano le zone dove i venti solari a velocità differenti interagiscono (interacting regions). Quando la terra attraversa le CIR il suo campo magnetico verrà quindi disturbato. A differenza delle CME l’intensità del disturbo è minore, ma nel tempo riescono a trasferire anche quantità maggiori di energia perché di maggior durata.

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Figure 1. L’ultima immagine prodotta attraverso il modello predittivo Wang-Sheeley-Arge WSA-Enlil. La predizione utilizza i dati raccolti dai coronografi. I dati vengono poi elaborati da un modello matematico. L’immagine mostra la densità prevista del plasma (in alto) e la velocità del vento solare (in basso). Nei grafici sono indicati il Sole (giallo), la terra (verde), STEREO-A (rosso) e STEREO-B (blu). Purtroppo STEREO-B è stato perso nel 2014 e quindi non è possibile verificare i dati.

Anche intense correnti nella magnetosfera, le modifiche nella fasce di Van Allen e le variazioni della ionosfera (che influiscono sulla termosfera) creano disturbi geomagnetici. A queste si aggiungono le correnti che girano intorno al nostro pianeta in direzione ovest. A queste correnti è stato assegnato un indice specifico chiamato Dst (Disturbance storm time). Infine ci sono le correnti che seguono i campi magnetici (field aligned currents) che, collegandosi alle correnti nella ionosfera, generano gli auroral electrojets, anch’essi responsabili di disturbi nel campo geomagnetico. Il risultato combinato di tutti questi disturbi al campo magnetico a terra viene tradotto nell’indice Kp che è la base dell’indice G. A breve vedremo come viene calcolato questo indice.

Quali sono gli effetti delle tempeste geomagnetiche?

Le tempeste geomangnetiche non hanno alcun impatto sulla flora e la fauna terrestre, se non regalare a coloro che vivono nelle aree polari degli stupendi spettacoli legati alle aurore boreali. Purtroppo però, molti manufatti umani, soprattutto quelli di più recente costruzione, sono estremamente sensibili a questi fenomeni. Il riscaldamento dell’atmosfera dovuto all’arrivo di queste particelle con maggiore energia aumenta la densità dell’atmosfera a livello dell’orbita bassa (tra i 300 e i 1000 km) frenando i satelliti presenti come, ad esempio, quelli del GPS o per la connessione ad Internet. Questi stessi satelliti possono anche subire l’alterazione dei percorsi dei segnali radio con conseguenti errori nel calcolo della posizione. Anche le condutture elettriche e le lunghe linee ad alta tensione possono essere attraversate e danneggiate da correnti indotte dalle variazioni del campo magnetico (GIC - Geomagnetic Induced Currents).

Gli strumenti di osservazione

Come abbiamo visto, la misura del disturbo del campo magnetico terrestre viene fatto a terra. Sulla superficie terrestre sono disseminati una serie di ossevatori che misurano costantemente il campo mangnetico e le sue variazioni. Punto di riferimento per questa ricerca in Europa è il GFZ (Helmholtz-Zentrum Potsdam – Deutsches GeoForschungsZentrum, Centro di Ricerca tedesco per le Geoscienze) ed in particolare il gruppo che si occupa dell’indice Kp. Gli osservatori dai quali viene derivato l’indice Kp appartengono alla rete INTERMAGNET coordinata dal British Geological Service:

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Figure 2. Distribuzione degli osservatori geomagnetici (British Geological Service)

Per effettuare le misure vengono utilizzati i magnetometri. Il tipo più comune è il fluxgate. E' uno strumento abbastanza semplice ed economico che tuttavia consente di rilevare variazioni del campo nell’ordine dei nanotesla. Per calcolare l’intensità del campo magnetico sfrutta la saturazione di un nucleo di materiale ad alta permeabilità magnetica. Per la sua particolare sensibilità alla temperatura viene installato in siti sotterranei a temperatura costante.

Nel video seguente è possibile vedere il principio di funzionamento di un magnetometro fluxgate

Il calcolo dell’indice Kp

Il campo magnetico terrestre, in assenza di disturbi, non ha un valore costante su tutto il pianeta e si modifica molto lentamente con il passare degli anni. Attualmente va dai 5000 nT delle zone polari ai 40000 nT del sud-est asiatico. Anche l’effetto dei disturbi del campo geomagnetico sono differenti a seconda della posizione geografica dell’osservatorio e, dato che l’indice Kp va a evidenziare le sole variazioni di questo campo, è necessario normalizzare i valori in modo tale che i dati registrati dai singoli osservatori possano essere usati coerentemente. Questo viene effettuato attraverso delle tavole di conversione calcolate specificamente per ogni osservatorio.

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Figure 3. Intensità del campo magnetico orizzontale (H) sulla superficie terrestre nel 2020

Per ogni osservatorio si considera un intervallo di 3 ore nel quale verranno presi i valori massimi e mimini del campo. Sottraendo questi due valori tra loro si otterrà l’escursione massima dell’intensità del campo (K). Utilizzando la tabella di conversione specifica per il singolo osservatorio si otterà quindi un valore Ks per ogni osservatorio relativo ad ogni intervallo temporale di 3 ore. La media dei valori Ks delle stazioni di riferimento (attualmente sono 11) genereranno l’indice Kp che può andare da 1 a 9 ad intervalli di 1/3 di unità.

L’ultimo passaggio che ha fatto NOAA è quello di assegnare un indice di facile comprensione chiamato G per i valori di Kp da 5 a 9 dove gli effetti sono più significativi (ignorando i valori fino a 4): G1 quando Kp = 5, G2 quando Kp = 6 e così via fino a G5 quando Kp = 9. Questo indice, la cui logica ricorda la scala Mercalli usata per i terremoti, ha lo scopo di evidenziare l’impatto sulle attività umane della variazione del campo geomagnetico più che i valori assoluti della variazione del campo.

Nella nostra console sullo Space Weather è possibile vedere questo indice in tempo reale

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