Osservazione solare con il radiotelescopio

La maggior parte degli astrofili osservano e studiano l’universo nella cosiddetta finestra ottica. É la parte dello spettro elettromagnetico percepibile ai nostri occhi compreso tra i 0.4 – 0.8 micron (1 µ = 10-6 metri). Questi numeri esprimono la lunghezza d’onda che è data dalla velocità della luce nel vuoto divisa dalla frequenza d’onda elettromagnetica.
Al di fuori della banda del visibile esiste uno spettro di altre onde elettromagnetiche, che vanno dalle onde radio fino ai raggi gamma, che il nostro occhio non è in grado di vedere (Tabella 1).

Tabella n. 1- Lunghezze d’onda e frequenze delle onde elettromagnetiche
Tabella n. 1- Lunghezze d’onda e frequenze delle onde elettromagnetiche

Buona parte di queste onde elettromagnetiche viene riflessa o assorbita dall’atmosfera terrestre.
Le uniche finestre in cui è quasi completamente trasparente oltre alla finestra dell’ottico è la finestra radio che va da un millimetro a cento metri. A lunghezze d’onda maggiori le radiazioni vengono riflesse dagli strati della ionosfera, quindi, uno dei vantaggi delle onde radio è che si possono ricevere di giorno, di notte e con il cattivo tempo. Il sole emette radiazioni lungo tutto lo spettro. Per studiarlo vengono usati dispositivi che selezionano la radiazione elettromagnetica che si vuole rilevare. Un radiotelescopio è costituito da un’antenna, un amplificatore, un ricevitore, un demodulatore e da un apparato di registrazione. Tra i componenti che caratterizzano un radiotelescopio rivestono particolare importanza la sensibilità ed il potere risolutivo.

La sensibilità (capacità di poter ricevere il segnale più debole) è strettamente correlata alle dimensioni dell’antenna e dal tipo di amplificatore e ricevitore impiegato. Il potere risolutivo, o la capacità di localizzare radiosorgenti (cioè l’angolo coperto dall’antenna del radiotelescopio), è inversamente proporzionale al diametro dell’antenna. Quindi, a parità della lunghezza d’onda ricevuta, per ottenere risoluzioni maggiori, si devono usare antenne sempre più grandi e più potenti dove l’impiego di radiointerferometri hanno permesso d’ottenere un aumento sensibile del potere di risoluzione.

Anche il sole può essere studiato con un radiotelescopio. Con le moderne tecnologie presenti sul mercato anche un astrofilo può costruirsi questo strumento, compiendo utili misure che andrebbero ad affiancare le osservazioni nel visuale, ottenendo così un quadro più completo dell’attività della nostra stella. Inoltre, per diletto, si può tentare di rilevare altre radiosorgenti quali, supernove, galassie e pulsar.
La radioemissione solare va suddivisa in diverse componenti ed ha differenti origini. L’emissione che si osserva anche in assenza di qualunque attività solare è di natura termica e la sua intensità, come la sua frequenza, dipendono dalla temperatura della cromosfera. Il range varia da 4000 a 8000 K (Kelvin) e al suo interno si protendono regioni attive dell’ordine di 10.000-20.000 K.

Dalla cromosfera del sole si riceve la radiazione a lunghezza d’onda pari a 0.86 cm, mentre dalla corona una radiazione a lunghezza d’onda metriche con una temperatura di un milione di gradi K. A queste radiazioni sono sovrapposte altre che invece dipendono dall’attività del sole, vediamo quali:

  • Radiazione prodotta dalle macchie solari. É localizzata nell’intervallo tra 1.5 e 100 cm con un massimo attorno ai 15 cm. Anche questa radiazione è di natura termica generata in calde condensazioni della bassa corona sopra le macchie. Essa è correlata con l’attività solare.
  • Le tempeste radioelettriche a lunghezza d’onda metriche sono generate da oscillazioni di plasma (gas composto da singoli ioni) o dalla decelerazione di elettroni nella corona media. Hanno una durata compresa tra alcune ore a diversi giorni. Si distinguono, nell’altoparlante di un ricevitore radio, come intensi fruscii e sono strettamente correlate all’intensità dell’attività solare.
  • Bursts - Sono forti aumenti d’intensità della radiazione di fondo che hanno una durata da qualche minuto fino a qualche ora e sono per lo più collegati a flares.

La frequenza nella quale un dilettante può facilmente trovare apparecchiature ad un costo contenuto è quella metrica (intorno a 2 metri, pari a 144 MHz). E’ la più usata dai radioamatori, e permette di registrare la parte alta della corona.

Esistono vari tipi di radiotelescopi. Quello più usato è il radiointerferometro.
Lo strumento è essenzialmente composto da due antenne disposte ad una certa distanza l’una dall’altra su di una base con orientamento est-ovest. Sono puntate a sud e collegate ad un ricevitore mediante due cavi di uguale lunghezza. In questo modo, quando il sole o la radiosorgente si troveranno esattamente al centro delle due antenne, al ricevitore arriveranno due segnali in fase tra di loro, mentre, quando il sole sarà distante dal centro al ricevitore, arriveranno due segnali sfasati tra di loro. Nel tempo, la risultante tra i due segnali saranno dei massimi e dei minimi. I massimi rappresenteranno il passaggio del sole al meridiano e come conseguenza si avrà la conoscenza dell’ascensione retta. Con la misura del “tempo siderale“ al momento del passaggio al meridiano e si avrà anche l’intensità del segnale emesso.
La risoluzione su quanto appena enunciato è data dalla seguente formula:

$$R\text{ (in gradi)} = 57.2958 \frac{\lambda}{D}$$
Dove λ è la lunghezza d’onda, e D è la distanza tra le due antenne (entrambi i valori andranno espressi in metri). L'esito finale ti permette di avere un’unica antenna di diametro pari alla distanza tra le due antenne.

Ora analizzeremo le singole parti che possono costituire il nostro radiotelescopio di due metri. Le antenne più semplici da usare sono quelle “Yagi“, simili a quelle impiegate per la ricezione dei segnali televisivi nelle nostre case. Queste sono costituite da: un dipolo ad anello, alcuni direttori e un riflettore.

Per una migliore ricezione del segnale la lunghezza del dipolo costituente l’antenna deve essere pari a λ/2 e puntata perpendicolarmente rispetto alla direzione del segnale da ricevere. Le due antenne sono collegate ad un preamplificatore caratterizzato da un elevato guadagno ed una bassa figura di rumore in modo da amplificare notevolmente i deboli segnali senza introdurre eccessivo rumore. All’uscita del preamplificatore c’è il ricevitore a 144 MHz, caratterizzato da una elevata sensibilità e da una banda passante stretta per eliminare i notevoli disturbi radio provocati dalle emittenti radiofoniche e televisive. Inoltre deve avere la possibilità di escludere AGC (Controllo Automatico di Guadagno) che, se mantenuto, causerebbe la perdita di tutti i picchi di elevata attività mandando in saturazione lo strumento. Questa banda è molto usata dai radioamatori, per cui tutti i componenti di questo radiotelescopio possono essere acquistati nei negozi specializzati in apparecchiature radio e antenne. Un’altra funzione del radiotelescopio è quella di saper discriminare il segnale della radiosorgente da quello del rumore di fondo e strumentale.

Col nostro radiotelescopio possiamo ottenere tutto questo tramite un dispositivo chiamato “commutatore di fase“ inventato dal fisico M. Ryle. Il dispositivo non fa altro che sfasare opportunamente di 180° il segnale d’antenna, e dopo un’appropriata elaborazione si otterrà il solo segnale della radiosorgente, mentre all’uscita del ricevitore si avranno i circuiti di elaborazione del segnale e di guida del commutatore di fase.
Anche questi circuiti debbono essere autocostruiti secondo determinati schemi, e per far questo, si deve avere dimestichezza con l’elettronica nella costruzione dei loro apparati. Molto spesso questi circuiti non si trovano in commercio. I segnali rilevati ed elaborati in uscita dal nostro radiotelescopio sono caratterizzati da una tensione, che viene memorizzata su un registratore a carta o tramite un convertitore A/D. I segnali vengono inviati successivamente ad un calcolatore per un’elaborazione più dettagliata e successiva memorizzazione tramite programmi creati appositamente perché non disponibili in commercio.
Il vantaggio di questo radiotelescopio e che con l’ausilio di un pc e di un timer, le misure possono essere eseguite automaticamente senza la presenza di personale. Essendo il tutto abbastanza compatto, lo si può trasportare in posti in cui le radiofrequenze siano ridotte al minimo, potendo così utilizzare una banda più larga e, se esiste maggiore spazio disponibile, ottenere una risoluzione maggiore dovuta ad una maggiore distanza tra le due antenne. I dati così registrati possono essere organizzati in medie giornaliere, mensili ed annuali per poterli affiancare e comparare con quelli ottenuti nel visibile.

Dopo questa breve introduzione sui radiotelescopi e loro caratteristiche, in generale, e per approfondire maggiormente l’argomento, rimandiamo l’ulteriore esposizione al prossimo capitolo dove il coordinatore di settore della sezione UAI Giorgio Bressan spiega esaurientemente come procedere per comporre, costruire e collegare i vari componenti del radiotelescopio che lui ha costruito.

Nella presentazione dei programmi di memorizzazione e archiviazione dei dati raccolti, informiamo i lettori che l’esperienza osservativa è stata fatta in un periodo in cui gli strumenti informatici usati erano ancora nel loro primo sviluppo tecnico, per cui l’esposizione degli strumenti e le metodologie sono sicuramente superate, ma indicheranno comunque una piattaforma metodologica utile per impostare un corretto lavoro osservativo completo e professionale.

Un radiotelescopio amatoriale

L’uomo vede la natura che lo circonda in modo parziale e ridotta perché il suo organo sensoriale visivo è sensibile solo alla radiazione della luce nel “visibile“, che rappresenta una piccola banda di frequenza dello spettro elettromagnetico che, come ben sappiamo, si estende dalle onde radio fino ai raggi gamma. La stessa natura vista con gli occhi di un pipistrello è certamente molto diversa sia nella forma che nei colori rispetto alla visione percepita dall’occhio di noi umani.
Per renderci conto di tutto questo possiamo compiere un semplice esperimento. Immaginiamo di riscaldare una barretta di ferro; ssserveremo subito un cambiamento di colore all’aumentare della temperatura. Si passa dal colore rosso-bruno (onde larghe) al blu al bianco (onde sempre più strette). Abbiamo quindi osservato un passaggio da lunghezze d’onda lunghe (rosso) a lunghezze d’onda brevi (bianco).
Se avessimo avvicinato alla barretta un radioricevitore sufficientemente sensibile, avremmo potuto sentire attraverso l’altoparlante un crepitio che, ruotando la manopola della sintonia, si estende su tutta la banda radio. In questo modo non abbiamo fatto altro che esplorare, a diverse lunghezze d’onda, il comportamento del ferro riscaldato che emette dei segnali sempre meno forti da lunghezze d’onda larghe (colore rosso) a lunghezze d’onda strette (colore bianco). Ora, se avessimo interposto una nuvola di fumo tra la barretta ed il ricevitore, questa non avrebbe alterato l’analisi dell’esperimento. Questo conferma che le onde radio, non essendo ostacolate nel passaggio tra le nubi di gas interstellari, schermo insormontabile per i telescopi ottici, possono essere registrate con il radiotelescopio in qualsiasi ora del giorno, della notte e con qualsiasi variazione meteorologica.

Figura n. 1 – Distribuzione dell’energia alle diverse lunghezze d’onda
Figura n. 1 – Distribuzione dell’energia alle diverse lunghezze d’onda

Noi non abbiamo fatto altro che confermare quello che, a suo tempo, Max Planck dimostrò come si distribuisce l’energia emessa da un corpo nero alle diverse lunghezze d’onda e per diverse temperature (fig. 1).

Fu un radioamatore americano Grote Reber che disegnò la prima carta della galassia. Il suo interesse per la radioastronomia incominciò dopo che ebbe modo di leggere gli articoli scritti da Jansky, che precedentemente, compiendo degli esperimenti per accertare la natura di certi disturbi radio, dimostrò che provenivano dal centro della Via Lattea. Jansky stranamente non proseguì le sue ricerche, che Reber riprese costruendo nel suo giardino di casa un paraboloide di quasi dieci metri di diametro, che perfezionò anche nella parte radio che aveva impiegato per i primi esperimenti. Con il trascorrere dei mesi gli fu possibile accumulare i dati necessari per disegnare la prima mappa della radiogalassia. Tutto questo avvenne negli anni trenta

Tabella n. 2 – Oggetti registrabili con radiotelescopio amatoriale
Tabella n. 2 – Oggetti registrabili con radiotelescopio amatoriale

Oggi, con le nuove tecnologie anche l’astrofilo può seguire l’esempio di Reber, tentare la costruzione di un (relativamente) semplice strumento e compiere con esso qualche interessante esperienza (tabella n° 2).

Un radiotelescopio amatoriale ben si presta per lo studio del nostro sole essendo la sorgente radio più forte e più vicina alla terra. É possibile registrare altri oggetti come resti di supernove, sciami meteorici e, con un maggior sforzo finanziario, qualche pulsar.
Così come agli astrofili è stato demandato il compito di seguire otticamente le variabili, i pianeti, le comete, i radioastronomi dilettanti possono attrezzarsi per osservare, oltre al sole, anche l’universo sulle lunghezze d’onda metriche.
Infatti la maggioranza dei radiotelescopi oggi in uso lavorano prevalentemente su lunghezze d’onda centimetriche e millimetriche, da qui l’impiego di antenne paraboliche aventi diametri notevoli dovuti alla necessità di disporre di grandi aree di raccolta, essendo i segnali registrati molto meno intensi delle onde metriche.

Interferometro a commutazione di fase

Principi di funzionamento

L’esigenza di ottenere nel campo radioastronomico risoluzioni spaziali sempre maggiori, tali da essere paragonate e talvolta superate a quelle ottenibili dagli strumenti ottici, ha promosso un notevole sviluppo nelle strumentazioni radioastronomiche utilizzando ad esempio tecniche interferometriche. Con questi apparati, detti anche “strumenti dei passaggi“, è possibile determinare non solamente la posizione in ascensione retta e in declinazione di una sorgente radio, ma anche calcolare la sua distribuzione di brillanza paragonabile alla magnitudine ottica di una stella.
Esistono varie configurazioni di radiotelescopi; quella costruita dall’autore di questo articolo è chiamato interferometro a commutazione di fase - (phase switching interferometer).
Il funzionamento di questo strumento è basato sul principio ben noto dell’interferometria. Ma l’aggiunta di un piccolo dispositivo inventato dal fisico: Sir Martin Ryle lo rende estremamente versatile tanto da essere largamente impiegato. L’apparato, nella sua configurazione più semplice, si compone di due antenne disposte ad una certa distanza una dall’altra, su una base con orientamento est-ovest e collegate al ricevitore con due cavi aventi esattamente la stessa lunghezza (fig. 2). Quando la radiosorgente si troverà esattamente al centro dello schieramento, i due segnali arriveranno contemporaneamente al ricevitore sommandosi, saranno cioè in fase; per contro, quando la radiosorgente non sarà esattamente al centro, i segnali subiranno un ritardo e giungeranno perciò sfasati sul ricevitore con un segnale meno intenso.

Figura n. 2 – Schema di un radiointerferometro
Figura n. 2 – Schema di un radiointerferometro
In pratica, lasciando passare una sorgente, per effetto del suo moto diurno, attraverso il sistema di frange, in cui i vari minimi e massimi hanno la funzione dei fili del reticolo di un sistema interferometrico ottico, sarà possibile determinare esattamente i massimi rispetto al meridiano passante, quindi, osservando il tempo siderale (TS) al passaggio della sorgente attraverso ciascun lobo, determinare con grande accuratezza il suo passaggio corrispondente alla AR (Ascensione Retta) della sorgente.
Le due antenne disposte sulla base est-ovest e con puntamento sud, si comportano come un’unica antenna avente il diametro uguale alla base.

Nel caso specifico la base misura dieci metri, per cui la risoluzione risulta (ω°) di 11,4° come si ricava dalla seguente formula: $$ \omega° = \frac{\lambda}{D}* 57.2958 $$ dove: λ è la lunghezza d’onda e D la distanza fra le due antenne, espresse in metri.
Rimaneva da risolvere il problema della separazione del rumore cosmico, associato a quello strumentale, per registrare solamente quello della radiosorgente. È qui la geniale intuizione di Ryle che inventò un dispositivo capace di effettuare questa separazione. Tale dispositivo si chiama “commutatore di fase“, d’onde il nome dello strumento.
Molto semplicemente questo dispositivo non fa altro che sfasare, cioè spostare il puntamento di una antenna di 180 gradi, per 500 o più volte ogni secondo, cosicché una rimane costantemente puntata sull’oggetto in esame, mentre l’altra, oltre a questo, fornisce anche il rumore di fondo e quello strumentale. A questo punto è sufficiente sottrarre i due segnali in modo da ottenere solamente quello della sorgente.

La tempesta geomagnetica del marzo 1989
E’ stata una grande emozione quando per la prima volta si è osservata, dal pennino del registratore grafico e sul monitor del pc, che la traccia tutta frastagliata e a volte tormentata da guizzi improvvisi, quasi una firma, di un oggetto celeste (in questo caso il sole) che sta transitando entro il lobo di radiazione dell’antenna. In quei momenti non immaginavamo di trovarci nel bel mezzo di una fenomenale attività solare tanto intensa da essere ormai considerata storica. Infatti in quel mese di marzo del 1989, come è ben noto, apparve sul sole un’enorme macchia visibile ad occhio nudo, che diede origine a diversi fenomeni di interazione con il campo magnetico e dell’atmosfera terrestre che furono abbondantemente riportati sia dalla stampa che dalla televisione.

Per un dilettante alle prime armi con la radioastronomia, trovarsi a disposizione una tale quantità di dati significava anche bruciare in poco tempo diverse tappe nell’acquisire quell’esperienza che diversamente avrebbe richiesto molto più tempo.
In quell’occasione si è evidenziato anche l’inesperienza che purtroppo ha provocato la perdita irrimediabile della maggior parte dei dati iniziali. In ogni caso, passati i primi momenti di smarrimento, fu possibile seguire gli eventi, che nel frattempo incalzavano, in modo più razionale.
I primi giorni furono caratterizzati dallo stupore provocato dall’intensa tempesta magnetica, che si rivelava attraverso l’altoparlante del ricevitore. L’indice dello strumento che indica l’intensità del segnale era impazzito. Ci sembrava impossibile che un segnale cosmico, notoriamente molto debole, mandasse a fondo scala lo strumento. Nonostante ciò all’uscita dell’elaboratore il livello era estremamente basso. In seguito (ma nel frattempo la registrazione dei dati era irrimediabilmente perduta) si scoprì che la causa era dovuta ad un dispositivo AGC (Controllo Automatico del Guadagno) all’interno del ricevitore, che ha la funzione di evitare distorsioni in presenza di forti segnali. Questo dispositivo è indispensabile in un ricevitore commerciale, ma assolutamente deleterio per l’uso in radioastronomia.
L’inconveniente venne eliminato, ma nel frattempo anche l’attività solare stava diminuendo. Il 10 marzo, venne eseguita una prova che diede risultati alquanto strani. Alle ore 13 UT (Tempo Universale), le antenne vennero orientate in direzione N-E, quindi riportate in direzione sud. Seppure con una lieve diminuzione, con puntamento N-E, il rumore provocato dalla tempesta solare era sempre chiaramente udibile. Una procedura simile venne eseguita anche alle ore 19 UT, conseguendo i medesimi risultati. Come conseguenza di questa straordinaria attività solare vi fu un’aurora polare visibile (caso eccezionale) fino a sud della nostra penisola.

Così, non fu una sorpresa quando, nel settembre successivo, si vennero a creare le condizioni perchè si sviluppasse un’aurora boreale; cosa che puntualmente avvenne due giorni dopo che sul sole si verificarono intensi brillamenti regolarmente registrati.
Il materiale che giorno dopo giorno si accumula, diventa poi successivo argomento di studio per approfondire ulteriormente i fenomeni che si verificano sulla nostra vicina e complessa stella. Per l’astrofilo capire anche solamente qualcuno dei suoi molteplici aspetti, con l’uso di nuovi strumenti d’osservazione, dovrebbe essere un motivo sufficiente per spronarlo a tentare nuove strade. Questo è l’invito che si vuole estendere a tutti gli appassionati del cielo.

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